Autore Hollis mark (talk talk)   Euro
270,00
Titolo Mark hollis  
supporto Lp edizione originale          stereo  
anno 1998 stampa eu etichetta   polydor   codice 252393

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condizioni   [vinile]  excellent  [copertina]  excellent  

versione per stampa
La rarissma prima stampa vinilica, uscita su Polydor nel 2003, copia con giusto assai lievi segni di invecchiamento, completa di inner sleeve con testi, etichetta grigio scuro con scritte grigie, catalogo 537688-1. L' unico disco solista di Hollis (r.i.p.), uscito originariamente nel febbraio 1998, soltanto in cd. Opera che sembra ripartire laddove si era interrotta la storia dei Talk Talk, con "Laughing shock" ben sette anni prima, riproponendo quell'originale ed intensa miscela in cui si incontrano jazz, ambient e folk, con la voce di Hollis fragile, quasi sussurrata, ma molto evocativa, accompagnata limitati accordi di pianoforte, contrabbasso e ritmi jazzati, armonica, clarinetto e arpeggi di chitarra acustica, con atmosfere delicate e sofferenti, notturne e rarefatte; un album di uno straordinario livello artistico che sembra captare l'essenza della musica di fine millennio, nella quale collimano venature jazz, pulsioni post rock, minimalismo, tappeti ambient e un'anima folk. . Costituitosi nel 1979 a Tottenham, intorno alla figura di Mark Hollis, i Talk Talk iniziano la loro carriera nel 1981, firmando un contratto con la Emi che ha intenzione di imporli al pubblico come la nuova promessa della scena New Romantic, ennesima deriva dell'albionica New Wave, sotto la direzione artistica di Colin Thurston, gia' vincente produttore dei Duran Duran, licenziano una serie di singoli ma prima del debutto di The party is over (1982) il sodalizio con Thurston e' gia' terminato. L'esito delle vendite e quello artistico non e' esaltante e, scontento, il trio decide di affidarsi alle cure di Tim Friese-Greene che, d'ora in avanti, lavorera' stabilmente con la band. I frutti della collaborazione vedono un primo risultato favorevole in It's my life (1984), LP che li fa conoscere al grande pubblico, sebbene lo scarto dal precedente lavoro sia gia' notevole, le scelte timbriche percorrono ancora una volta il solco di un sinth-pop "rassicurante" lasciando la sensazione che solo di rado si intraveda il reale spessore delle composizioni. A questo punto della loro discografia cade quello che possiamo giudicare il loro disco di transizione: The colour of spring (1986). Come frequentemente accade all'interno di un percorso artistico esiste un momento in cui i germi di una nuova sensibilita' iniziano a manifestarsi tramite una serie di tratti dotati di genuina freschezza, una spontaneita' non ancora imbrigliata. Il terzo episodio della produzione dei Talk Talk ha proprio queste caratteristiche, a partire dalla lunga introduzione percussiva di Happiness Is Easy si intuisce quale sia la nuova attenzione della band verso il rapporto tra vuoti e pieni e ancor di piu' verso una timbrica definitivamente priva di orpelli sintetici. La strumentazione scelta per la realizzazione dell'intero disco e' di chiara matrice vintage: quasi a voler sottolineare ancor piu' marcatamente la distanza dalle loro precedenti prove. Il folto gruppo di musicisti che affianca Hollis, Harris, Webb ed il produttore Friese-Greene e' di primissimo livello ed assicura un ottimo apporto qualitativo. Tra di loro spiccano Steve Winwood (The Spencer Davies Group, Traffic, Blind Faith), David Rhodes (Peter Gabriel) e Robbie McIntosh (The Pretenders, Paul McCartney). Il ponte con il passato e' assicurato dalla scelta della forma canzone: una struttura all'interno della quale la formazione di Hollis predilige la ricerca dei vuoti (I Don't Believe In You e l'emozionante Living In Another World) o la fissita' armonica a favore della persistenza ritmica (Life's What You Make It). Le composizioni si dilatano liquide (April 5th; Time It's Time) ad accogliere melodie che non conoscono esasperazioni. Le forme del rock sono rese scabre e private di ogni tipo di autocompiacimento (Give It Up) mettendo in risalto la grana delle stesure timbriche. Episodio che prelude ad un futuro di scelte ancor piu' radicali e' la breve e rarefatta Chameleon Day, composizione per piano e voce, colorata, in ingresso e in uscita, da eterei fraseggi free-jazz che ricordano piu' Robert Wyatt che, come qualcuno ha indicato, Ornette Coleman. Un disco, insomma, che segna una svolta, non ancora definitiva, ma gia' netta.    
   
     
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